Lisbona, di nuovo qui.

Posted on 6 luglio 2011

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La prima volta fu la gita scolastica di Prima Liceo. Con i brufoli in faccia e la notte prima di partire insonne per il primo viaggio internazionale con gli amici. Poi il ritorno: dieci anni dopo, in macchina da Roma, 8000 chilometri con un’auto presa a noleggio, nuovi amici e qualche capitale europea in più sotto le scarpe. La terza volta, ormai adulto, con mia moglie, pochi anni dopo. Eppure sembra passato un secolo dalla persona che ero. Lisbona invece non è cambiata e mi accoglie sempre a braccia aperte, seppur infreddolita dall’inverno. Le sue strade sono come piccoli fiumi che si diramano ad ogni ostacolo, ad ogni sasso che incontrano nel proprio letto: disordinate e difficili, sia da ricordare che da percorrere, così ripide da far venire il fiatone dopo pochi passi. I palazzi della Baixa sono così ricchi da non sembrare nemmeno portoghesi e quelli del Barrio Alto o dell’Alfama sono invece spesso così rovinati da sorprendersi nel vederli abitati. Eppure ecco i panni stesi, e la signora che innaffia i fiori, e i bambini che vanno a scuola e il tram che si inerpica senza fatica. E’ l’ora del pesce sul fiume poi è l’ora del caffè con Pessoa, ancora due passi ed è tempo per la Ginja del Rossio. Mentre il fumo delle castagne che bruciano su una pentola per strada si confonde con l’ascensore Do Carmo scende la notte. Cammino per l’Alfama, sotto il Castello di Sao Jorge, e cerco la musica del Fado, che qualche anno prima era stato protagonista del mio viaggio a Lisbona. Il freddo tiene chiuse le finestre e i suonatori e i cantanti se ne stanno ben rinchiusi, aspettando la bella stagione in cui il canto malinconico potrà scivolare per le vie strette raggiungendo i turisti e i portoghesi. Il giorno dopo al Monastero dos Jeronimos c’è la fila, un paio d’ore. E anche alla Torre di Belem, da cui si partiva per le Americhe, e alla Pastelleria dove le pastelle de nata fanno la gioia di generazioni di golosi. File sotto la pioggia: piove, torna il sole, piove ancora. Il vento soffia forte e sembra quasi piegare la scultura ai navigatori sul lungo fiume. Lascio la città in macchina e viaggio in autostrada verso Sintra. Scivoliamo da un palazzo all’altro: il palazzo Nazionale con i suoi camini bianchi e i suoi spazi ricchi di storia, l’affascinante Quinta da Regaleira dove il misticismo si fonde con l’architettura e ogni pietra prega perché Dan Brown o chi per lui scriva un romanzo qui ambientato, fino al Palacio do Pena, su in alto in mezzo alle montagne, racchiuso dalla nebbia e dai temporali, inaccessibile e austero da lontano, gioioso e malizioso da vicino, perché le cose, qui in Portogallo, non sono mai come sembrano. La notte la passiamo ad Obidos, la romantica Obidos, in pieno clima natalizio, prima di tornare a Lisbona per festeggiare il capodanno, inseguendo la musica che esce da una macchina del Barrio Alto, un flauto magico capace di attirare una coda di centinaia di persone che ballano e ridono e si godono la città. Quasi brilli ci addormentiamo abbracciati. Arrivederci Lisbona, la prossima volta tu ancora non sarai cambiata, chissà come sarò io.

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