
Immaginate una scarpata lunga 150 chilometri abitata sotto sopra e lungo il cliff da una popolazione animista con un sistema cosmologico tra i più complessi e particolari di tutta l’Africa, immaginate ottimi artigiani, eccellenti muratori di fango, immaginate nugoli di bambini sorridenti e piccole coltivazioni ricavate in ogni angolo di terreno disponibile, uniteci un paesaggio verdeggiante rigoglioso rigato da fiumi e punteggiato da piccoli laghi e stagni. Ecco, ora avete davanti a voi i favolosi Pays Dogon.
Raggiungiamo Bandiagara subito dopo pranzo, la capitale della regione è un villaggio un poco cresciuto, con una piccola moschea, un palazzo di fango imponente e un piccolo mercato. Facciamo rifornimento di noci di cola: le popolazioni Dogon le utilizzano per la divinazione e le offerte e, non essendo autoctone del Mali, nelle zone rurali è una merce di scambio preziosissima.
Da oltre 600 anni secondo la storia, da millenni secondo i Dogon, questa popolazione ha preso possesso di una delle zone più impervie della nazione facendo della scomodità della falesia il loro punto di forza. I Dogon sono subentrati nella regione ai Tellem, una popolazione primitiva precedente che abitava in piccole caverne artificiali nella parte alta della scarpata, decidendo di occupare anch’essi la base della falesia, anziché sistemarsi nella zona pianeggiante, per conservare il terreno fertile, preziosissimo da queste parti, per la coltivazione.
Un paio d’ore in 4×4 ci conducono a Sangha, un piccolo villaggio dove c’è un posto dove è possibile pernottare: la camera è semplice e l’elettricità c’è solo poche ore durante la notte, ma è quanto ci basta . Il paesaggio dei Pays Dogon è favoloso, con i corsi d’acqua che solcano la scarpata nella parte alta e cadono a picco in altissime cascate verso i campi coltivati in basso, campi di miglio seminati in piccolissimi fazzoletti di terra tra le rocce, grandi baobab e moltissime altre piante rese vigorose dalla stagione delle piogge. Il sole che cala rende tutto ancora più affascinante e ogni scorcio sembra più bello del precedente.
La mattina dopo all’alba ci incamminiamo lungo il plateau, tra la rocce rosse. Prima di incamminarsi Bouba, la nostra guida, nativa Dogon, estrae dalla borsa due feticci fatti con pelle e ossa di animali, li bacia, ci sputa sopra della noce di cola masticata e li ripone nello zaino senza dire una parola. Formalmente anche questa zona è stata raggiunta dall’Islam ma qui, più che in altre regioni, l’animismo è ancora presente (tanto che quasi nessuno pratica il ramadan). Il padre di Bouba era una specie di santone, un medico spirituale tradizionale e anche Bouba conosce la maggior parte delle pratiche magiche dei Dogon: essendo l’unico della famiglia in grado di leggere e scrivere trascrisse su un quaderno tutto il sapere (segretissimo) del padre.
Scendiamo la scarpata arrampicandoci sulle rocce: sopra di noi incombono aggettanti le case dei Tellem, da centinaia di anni disabitate e utilizzate solo in parte (quelle più accessibili) per la sepoltura Dogon. Secondo la popolazione locale (anche per le persone istruite) i Tellem avevano poteri magici ed erano in grado di volare, non si spiega altrimenti l’inaccessibilità delle caverne (sia la popolazione Dogon che la popolazione Tellem sono state studiate solo recentemente, e i Dogon sono molto restii a rivelare di sé e delle loro credenze).
Il villaggio di Ireli è meraviglioso con i suoi granai dal tetto di paglia e le case del pensiero, le Togu-na, luoghi di ritrovo per gli uomini. I bambini ci fanno la festa vedendoci arrivare e tutti ci salutano calorosamente senza farci sentire né intrusi né dollari ambulanti. Ci fermiamo sotto un baobab a riposare prima di riprendere la camminata fino a Banani, attraversando sotto il sole i campi dove la gente si spacca la schiena. Ad ogni passo incontriamo qualcuno e ogni persona Dogon che ne incontra un’altra ha una complessa maniera rituale di salutare. Prima si chiede come va, e l’altro risponde “bene”, poi si domanda del padre, della madre, della moglie, dei figli, degli amici, del villaggio e ad ogni domanda si risponde sempre “bene”, anche se è appena successa un’immane tragedia o si è orfani da tempo. Finito il saluto rituale si può intavolare una chiacchierata e fare altre domande: quando si incontra più di una persona c’è un coro che, unanime, risponde alle domande oppure, se qualcuno arriva dopo, o non si unisce subito alla formula, appena è finito un saluto ricomincia con un altro incatenando un sistema che può durare anche diversi minuti.
A Banani ci fermiamo per il pranzo e ci cucinano un pollo che uccidono per l’occasione. Nel pomeriggio risaliamo sopra la scarpata fino a Bongo dove una grotta naturale conduce dall’altra parte della falesia. Poco distante dal villaggio incontriamo un divinatore, la figura più importante di tutto il villaggio. E’ a lui che ci si rivolge per qualsiasi questione sociale e giuridica, è lui che decide l’hogon, il capovillaggio, è lui che può dire se e quando pioverà. Il divinatore non conosce le risposte, ma gli vengono comunicate dalla Volpe. Durante il giorno tratteggia complesse figure sulla sabbia con legni, pietre e altro materiale, distribuendo poi in serata delle arachidi lungo il disegno. Nottetempo gli animali (la Volpe, secondo la cosmogonia Dogon) mangiando le noccioline spostano i disegni e da quel disordine l’indovino ottiene la risposta. Mentre ci avviciniamo il divinatore sta sistemando i bastoncini per rispondere alle domande di una donna il cui figlio è scomparso da qualche giorno: la Volpe dirà se è morto e non serve più attenderlo o se invece farà ritorno a breve.
Prima di lasciare la regione ci fermiamo a Songo, all’inizio della scarpata: qui c’è uno dei più importanti siti per la circoncisione maschile. Secondo i Dogon Amma, il dio primordiale, creò due figli dotati di entrambi i sessi, soltanto eliminando la parte superflua i suoi figli poterono procreare e dare origine all’umanità. Per questo, ancora oggi, è praticata sia la circoncisione maschile che quella femminile nella sua versione più cruenta: l’escissione del clitoride, delle piccole labbra e di una parte delle grandi labbra con la cucitura delle stesse (infibulazione). Ma se per le donne la circoncisione viene fatta in privato, per gli uomini si tratta di un affare sociale, di gruppo. Ogni 3 o 4 anni tutti i ragazzi dei villaggi dei dintorni in età da circoncisione vengono a Songo con i padri e i nonni. Qui incontrano un sacerdote che pratica loro il taglio del prepuzio (secondo un complesso rituale che si ripete da centinaia di anni sulla stessa pietra) dopo il quale i ragazzi si fermeranno un mese lungo la scarpata decorata con tutta la cosmogonia Dogon per imparare cose da uomini: come si ara un campo, come si costruisce un granaio, etc…
Ci arrampichiamo sulla roccia fino al punto più alto da cui godiamo di tutta la bellezza del villaggio e della regione circostante. Guardo in alto e cerco il sole nascosto tra le nuvole e penso al fatto che i Dogon credono di provenire da Sirio che sostengono essere composta da due stelle differenti, una che ruota attorno all’atra, come effettivamente fu scoperto a metà dell’800 con l’utilizzo di potenti telescopi (Sirio B). Non solo: i Dogon sostengono la presenza di un terzo corpo stellare (Sirio C) che è stato ipotizzato anche in anni recentissimi da alcuni astronomi.
Credo che i Dogon, provenendo dal passato primitivo, ci riserveranno in futuro grandissime sorprese…
Altre tappe del viaggio in Africa
In Senegal: Dakar, Isle de Goree, Lago Rosa, Saint Louis, Langue de Barbarie, Touba, Joal Fadiouth.
In Mali: Bamako, Djenne, Timbuktu, Segou, Pays Dogon, Mopti.
Posted on 6 settembre 2011
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