
A stare lì, stretti in quelle piccole stanze senza finestre piene di umidità, sembra ancora di sentire l’odore del marcio e della malattia. Gli schiavi ci stavano solo pochi giorni in queste prigioni, in attesa di essere imbarcati per l’America in stive ancora più putride. A qualcuno toccava invece aspettare di più, ingrassato con fagioli e cereali per superare la soglia dei sessanta chili, sotto i quali non era conveniente vendere uno schiavo come lavoratore. I bambini stavano tutti assieme e, da un’altra parte, le donne, tra cui venivano scelte le vergini, più remunerative. Gli anziani, se ci arrivavano all’isola e non erano uccisi prima, venivano ammassati senza cura da un’altra parte: era talmente poco il guadagno che se ne poteva trarre che non valeva la pena spenderci tanti soldi. Tutte le prigioni davano su un cortile e una doppia scalinata di pietra portava invece ai piani superiori dove i mercanti ricevevano gli approvvigionatori di uomini.
E’ rimasto tutto così alla Maison des Esclaves, sull’Isola di Goree, nel mare di fronte a Dakar. I visitatori si assiepano nel cortile e nelle varie stanze scattando fotografie e commentando contriti le condizioni di reclusione dei rapiti. La storia fa impressione, ma la storia l’abbiamo scrittanoi e noi stiamo continuiamo a crearla, forse non ci saranno più gli schiavi ma tra trecento anni per cosa ci mortificheremo?
All’Isola ci si arriva con un traghetto pieno di senegalesi che, una volta attraccati si posizioneranno in punti strategici per vendere collane, quadri, bevande e noccioline. Il porto è delizioso, con i suoi colori pastello e gli edifici coloniali ben conservati. I bambini giocano sulla spiaggia e gli anziani riposano all’ombra degli alberi che svettano nelle piazzette, esattamente come succede qui da secoli. Il tempo sembra fermato sull’Isola, eccezion fatta per i toubabs, gli stranieri che qui vengono con lo stesso spirito con cui si visita Auschwitz: davvero abbiamo fatto questo?
I racconti delle guide e del conservatore del museo parlano di morti, malattie, putrefazioni, scambi di denaro e baratti risibili: bastavano poche conchiglie per comprare uno schiavo da una tribù dell’interno. E gli Europei gongolavano e si arricchivano, in una triangolazione commerciale che partiva dall’Europa con prodotti commerciali (stoffe, armi, alcol), lasciava l’Africa con gli schiavi, e tornava dall’America con le materie prime introvabili nel vecchio continente.
L’atmosfera di Goree oggi è da paesino turistico, con le bougainvillee a far da cornice, la vecchia chiesa, il castello dei francesi, i laboratori dei pittori. E i venditori che ci infastidiscono per farci comprare qualcosa cercando di combattere la loro povertà. Quelle insistenze, gli occhi stropicciati, le mani ruvide, gli abiti stracciati e la miseria dipinta sugli occhi ci ricordano, più che le mura della casa degli schiavi, quello che abbiamo fatto al Popolo Africano e che, forse, continuiamo a fare oggi.
Altre tappe del viaggio in Africa
In Senegal: Dakar, Isle de Goree, Lago Rosa, Saint Louis, Langue de Barbarie, Touba, Joal Fadiouth.
In Mali: Bamako, Djenne, Timbuktu, Segou, Pays Dogon, Mopti.
Posted on 15 settembre 2011
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