Lo Yoga e le montagne

Posted on 27 ottobre 2011

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Cercando di sopportare il caldo opprimente mi carico lo zaino sulle spalle e mi metto in marcia verso la fermata dei piccoli bus, per cercare qualcuno che vada a Rishikesh. Appena mi avvicino capiscono dove voglio andare e mi si fanno davanti in quattro. Ognuno offre un prezzo, alla fine scelgo il più economico: 25 rupie, 40 centesimi di euro, per arrivare fino a Rishikesh, ad un’ora di strada da qui. Il viaggio lo faccio in uno di questi trabiccoli a quattro ruote, con un portabagagli trasformato in cabina passeggeri a quattro posti. Comodissimo se non fosse che eravamo in undici! Due ragazzi pakistani, io e una famiglia indiana composta da vecchia mamma, genitori e tre figli, di cui una adolescente. Tutti quanti passano l’intero viaggio a guardarmi, appollaiato sul mio pezzettino di sedile, con le gambe fuori e le mani strette attorno al palo che sorregge il tettuccio per non cadere fuori, visto che le porte non ci sono. E dopo avermi ispezionato capisco che parlano di me, si chiedono di dove sia. Alla fine uno dei due ragazzi, masticando un inglese tremendo, riesce a trovare il coraggio di parlarmi e fa da traduttore per tutti. Pensavano fossi tedesco. Arrivo a Rishikesh e cambio mezzo di trasporto, finendo su uno ancora più affollato che si arrampica su una strada in salita per le montagne fino alla parte finale del paese, Lakshman Jula. Qui scendo per le stradine e respiro subito un’atmosfera diversa dal resto dell’India. Niente folle innanzitutto. Qui c’e’ solo la gente del posto e molti indiani che usano Rishikesh come base per camminare fino alla sorgente del Gange. Attraverso il Gange sul ponte sospeso che collega la città divisa in due e mi ritrovo in un ambiente piacevole, Qui nessuno mi guarda con curiosità morbosa, chiedendosi chi io sia e che ci faccia lì in mezzo, curiosità che in fretta diventa razzismo. Qui i turisti ci sono e si vedono. Pochissimi, una ventina forse in tutto, ma in un posto così piccolo e’ facile incontrarli. Ci sono scritte in inglese, internet point e perfino una German Bakery che manda canzoni di Manu Chao. A Rishikesh, quarant’anni fa, i Beatles vennero a stare per due mesi, in cerca dell’ispirazione, in puro stile hippie: qui ci sono Sadhu, Baba, Paria in cerca di elemosina, Sacerdoti e qualche fedele. I Beatles soggiornarono in un Ashram (Monastero) che ora non c’e’ più ma alla fine se ne andarono avendo visto troppe cose losche girare attorno al loro Guru. Di quel periodo resta un’eredità che fa di Rishikesh la capitale del mondo dello Yoga. In quattro strade sono concentrate decine di scuole e monasteri dove si studia meditazione Yoga e quanto altro è legato alla dimensione spirituale e pratica dell’induismo. Medicina ayurvedica, danze e musiche, massaggi. Dopo pochi passi sono nel monastero che mi ospiterà. Il mio Ashram affaccia proprio sul Gange e ha un piccolo tempio a picco sul fiume. Il posto, dedicato allo studio e alla meditazione, è abituato a ricevere turisti stranieri, sia quelli intenzionati ad avere un’illuminazione, sia quelli di passaggio come me. Scelgo la camera più cara, circa sette euro, e mi sistemo in una stanza rozza e un po’ sporca ma con un bellissimo balcone enorme che affaccia sul fiume e le montagne. Non c’e’ acqua calda, non ci sono lenzuola né asciugamani, non ci sono cuffiette proteggi capelli per la doccia ma nemmeno un sapone, in compenso ci sono le impronte rosse di due mani sulle pareti, lasciate da qualche fedele adorante, e un paio di ragni che abitano la parte alta della stanza. Io mi prendo la parte bassa ed esco a fare due passi. Visito un tempio che pare un supermercato. Una quindicina di piani, da percorrere in senso orario, carichi di statue di divinità, e ogni statua ha una campana e un cestino delle offerte e allora vai. Dong, ding, dang. E’ tutto un risuonare di campane, con tutti i fedeli che festanti baciano e abbracciano i linga, i simboli fallici di Shiva presenti ad ogni piano. Ogni tanto c’è un sacerdote che dà una benedizione, e chiede qualche soldo. Arrivato all’ultimo piano il Baba mi fa sedere e mi segna la fronte con il bindi di Shiva. Poi mi offre un po’ di acqua tra le mani facendomi segno di berla e mi allunga qualche chicco di riso soffiato da mangiare. Nel frattempo recita qualche preghiera incomprensibile e mi infila al collo una collana di pietre di legno. Ossequioso unisco le mani e faccio un piccolo inchino, mentre lui mi indica la cassetta dove posso lasciare la mia offerta. Offro. Più tardi torno al mio Ashram dove un maestro tiene la lezione di Yoga. Evito quella avanzata del Guru capo dell’Ashram, e mi dirigo verso quella per beginners tenuta da un giovane allievo yogi, snodato come un contorsionista. Mi giro e mio rigiro in posizioni assurde dai nomi assurdi, scoprendomi più mobile di quanto pensassi, ma con grandi problemi alla parte bassa della schiena, come mi fa notare l’insegnante. Non manca poi la parte di respirazione pranayama e la ripetizione della lettera Om, contemplando la quale finisce la lezione. Prima di lasciare la stanza mi metto a chiacchierare con un ragazzo turco che, atterrato a Delhi, intende tornare in patria con il treno ma ha problemi con i permessi e i visti (chissà se ha controllato sulla cartina prima di partire: metà dei paesi che deve attraversare sono in guerra!). Intanto lo Yogi ha finito la sua lezione e trovo due spagnole che lo riempiono di domande stupide e un po’ fuori luogo. Da lontano sembra la scena di un film, con il guru vestito con una tunica bianca, capelli e barba lunghi, che dispensa saggezze che cambiano la vita. Nell’Ashram vivono anche delle persone preposte ai trattamenti e ai massaggi ayurvedici e così, per non farmi mancare niente, decido di sottopormi a quello che pensavo sarebbe stato un modo piacevole e rilassante per passare un’oretta… Mi spoglio e mi sdraio su un lettino duro e un ragazzo entra cospargendomi di olio. Con le dite preme in alcuni punti di pressione ben definiti, poi, dopo essersi scaldato le mani, inizia con la pressione sul corpo che si fa via via sempre più forte e faticosa da sostenere, soprattutto in alcuni punti, come i polpacci o i lombi. Stringo i denti e mi dico che più tardi ci sarà la parte piacevole, ma poi passa ai piedi, e la tortura aumenta. Per fortuna il massaggio finisce con la testa, nel completo relax. Peccato che ci versino sopra olio in abbondanza e il risultato e’ un casco di capelli unti. Finito il massaggio mi scopro in realtà completamente rilassato e senza più nessun dolorino muscolare. Mi riprometto di tornare per il trattamento shirodara, con la colata di olio sul terzo occhio. Esco dal massaggio che ormai sta arrivando la notte. Le strade diventano buie e sia le scimmie che le mucche vanno a dormire. In giro ci sono solo mendicanti neri come le tenebre e qualche matto. Come quello che mi si avvicina, più alto del normale, barba e capelli bianchi, occhi azzurri come una pietra preziosa. Hello, do you speak english? mi chiede. Rispondo di si e mi fermo per sentire che ha da dire. Lui mi mette una mano sulla spalla e mi dice: “Aiutami, sono schizzofrenico!” Imbarazzato e senza sapere che fare, capisco che la troppa meditazione può fare male (o l’abuso di droghe, qui legali per l’adorazione di Shiva). Lascio il vecchio, probabilmente americano, e vado verso il ponte sospeso di Lakshman Jula. Dalle montagne scende la bruma che, azzurra come il mare, si eleva dall’acqua del Gange che romba e continua a rombare. Passeggio sul ponte sul fiume. Sotto di me il fiume, sopra di me il cielo, attorno solo il vento. Chiudo gli occhi e sto bene, bene davvero.