
Il vecchio autobus di linea sovraccarico fino a scoppiare cigola e sussulta. Poi frena. Silenzio, si sente solo il chiocciare delle galline chiuse nelle gabbie sopra il tetto. Si avvicina un poliziotto e scendiamo. Le operazioni di sconfinamento dureranno due ore: i controlli sono molto severi tra il Messico e il Belize.
Poi, finalmente, dopo 12 ore di marcia, eccoci alla Ccpitale: Belize City. Qui il 90% delle persone è discendente dagli schiavi neri, e di negroide ha le sembianze e le abitudini, mescolate però (ed è questo il bello) a tradizioni e modi di fare molto british (il Belize era un ex colonia inglese). Il tutto in salsa centroamericana piccante.
La città e i suoi abitanti non ispirano fiducia, le case sono fatiscenti e raccontano di un lusso ormai passato e le persone che uggiano all’ombra dei portici sembrano aspettare l’occasione per scappare da lì. Il tempo di trovare una banca, cambiare i soldi (i dollari del Belize hanno la Regina Elisabetta stampata sopra) ed eccoci sul piccolo fuoribordo verso il Mar dei Caraibi. Eccoci al Paradiso.
Il Paradiso in terra si chiama Caye Caulker ed è un’isola minuscola abitata da pochi rastafariani che vendono collanine, aragoste e marijuana, e duecento turisti al massimo, tutti molto discreti.
Al motto “no shoes no problem” ci togliamo scarpe e stanchezza, passeggiando sulle vie di sabbia di questo gioiello dove non ci sono macchine (l’isola misura pochi chilometri di lunghezza). Le costruzioni sono pochissime, e per la maggior parte ad uso dei pochi turisti. Qualche capanna e qualche abitazione modesta serve alla gente che vive stabilmente sull’isola. Molti muri sono decorati con scritte inneggianti al Rastafarianesimo e all’agognato ritorno in Africa, in certi angoli sembra di essere in Jamaica, o meglio in quella che immagino sia la Jamaica.
Affitto una bellissima cabana sulla spiaggia, costruita su una palafitta, e dotata di tutti i confort. Fuori solamente sole palme mare e sabbia bianca. La temperatura dell’acqua è attorno ai 35 gradi.
Il tempo passa in fretta e il sole tramonta velocemente. Sullo split, l’estremità dell’isola tagliata in due da un uragano qualche anno fa, un DJ reggae pompa musica mentre tutti, me compreso, bevono un Lizard, un cocktail verde a base di rum e lime con altre aggiunte non specificate.
We are jammin’! And I hope you like jammin’ too!
Posted on 29 ottobre 2011
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