Dove vivono i Faraoni

Posted on 9 novembre 2011

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A Luxor, dall’altra parte del Nilo, c’è la Valle dei Re. La necropoli dell’antica Tebe, costruita durante il Nuovo Regno, uno dei luoghi più famosi dell’Egitto, è affollato di turisti e venditori ambulanti. Si tratta di una valle chiusa da alcune montagne basse tra cui una a forma di Piramide. Al centro insenature e ripari naturali nascondono i buchi che penetrano nella roccia: le tombe dei Re. Da Ramesse II a Tutankhamen, da Horemheb ad Amenhotep II. Dal parcheggio saliamo con un piccolo trenino elettrico fino all’ingresso: il biglietto dà diritto a visitare solo tre tombe a scelta tra quelle aperte. Esclusa quella di Tutankhamen per cui c’è un onerosissimo biglietto extra che decidiamo di non prendere, dato anche la povertà della tomba costruita in fretta per il faraone morto appena diciottenne. Visitiamo la tomba di Ramesse IV, completamente decorata, quella di Ramesse II, con il grande sarcofago e i dipinti perfettamente conservati. Molto belle, ma la tomba che aspettavo con ansia di visitare era la tomba di Tuthmosi III, e tutto per un pezzo che scrissi qualche anno fa, narrando di una figura della storia egiziana che da sempre mi aveva affascinato: Hatshepsut. Ne uscì un racconto lungo intitolato Am Duat (come il nome che gli antichi egiziani davano al regno dei morti), che partiva nella Valle dei Re, proprio nella tomba di Tuthmosi III, figlio di Hatscepsut, dove sono dipinte le scene del libro dell’Am Duat. Scrissi come Giulio Verne, senza muovermi di casa, soltanto nutrendomi di foto e racconti e guide turistiche. Ora la prova del nove. Nel mio racconto il protagonista entrava nella tomba con molte persone ma poco dopo si ritrovava solo, in quell’immenso cartiglio ovale che è quella tomba, trovandosi faccia a faccia con il guardiano, un nubiano scuro e con la veste bianca, che gli racconta la storia della regina e dell’Am Duat. Ci arrampichiamo lungo la stretta scala che porta all’insenatura che nasconde la tomba del faraone. Da lì un’altra scala, questa volta in discesa, penetra nella montagna verso la sala sepolcrale. L’aria è umida e odora di secoli e sudore. Fa caldo e mi tolgo la giacca. Scendiamo dalla prima alla seconda camera, quella del sarcofago, ed ecco la stanza del mio racconto, esattamente come me l’ero immaginata studiando foto e descrizioni. Appena entro incrocio lo sguardo del guardiano: è nubiano, come molti che lavorano qui, e ha la veste bianca, come nessuno incontrato fino a quel momento. Guardo mia moglie che capisce la curiosa coincidenza. Giriamo lungo il perimetro della tomba, assorti nel percorso che Ra fa con il suo raggio solare con la barca lungo il fiume dei morti. Non ci siamo inventati nemmeno Caronte. Arrivati verso la fine ci accorgiamo che tutte le persone che ci sono nella tomba stanno uscendo. E di colpo ci ritroviamo soli. Inspiegabilmente soli, visto la ressa che fino a quel momento avevamo trovato in ogni tomba. Accenno al mio racconto, a come quella guardia in quel momento potrebbe parlarmi. Mariachiara decide di uscire e lasciarmi da solo, per farmi godere un momento quasi magico. Mi guardo attorno. Mi giro. Sono un po’ frastornato. Mi avvicino alla veste bianca, sporcata di marrone dalla sabbia del deserto. Guardo negli occhi il guardiano, mi sorride. Poco dopo ecco entrare un gruppo di asiatici affaticati e accaldati.

Esco in superficie.

Dopo la Valle dei Re è la volta di Deir el Bahri, il tempio della Regina Hatshepsut, costruito dall’altra parte della montagna, anche esso protagonista del mio racconto. Per raggiungerlo c’è una strada da cui passano le macchine, oppure c’è la montagna da scalare. Un cartello dice che è proibito, ma la guardia annoiata e distratta ci lascia passare ugualmente. La scalata è abbastanza ripida e si prospetta faticosa. Appena partiti incontriamo un ragazzetto egiziano, un beduino che vive non lontano da lì, che si offre di farci da guida, sperando in una mancia. Lungo il percorso incontriamo anche il suo asino, e qualche altro turista interessato alla nostra stessa attraversata. Arriviamo in cima e la vista sulla valle è bellissima: da una parte le tombe dei faraoni, dall’altra il tempio. Sulla cima del monte sento di dominare il mondo, ma la magia è interrotta dalla guida che cerca in tutti i modi di venderci un piccolo bassorilievo scavato nella roccia che compriamo per liberarci di lui. E’ ora di scendere dall’altra parte della montagna, ma anche se la direzione è chiara, il percorso non lo è. I sentieri si dividono continuamente, e la nostra guida, ricevuto il compenso, si è dileguata. Alla fine optiamo per un sentiero stretto e molto ripido, a tratti molto pericoloso, che però attraversiamo indenni, fino al tempio di Deir El Bahri. Hatshepsut, come giàHatscepsut detto, amava fare le cose in grande, e il tempio non smentisce la sua fama. Tre diversi livelli, anticipati da quello che un tempo doveva essere uno spettacolare giardino di piante esotiche appositamente trasportate e che oggi è solo un vasto cortile brullo, pieno di terra. L’interno del tempio e le sue decorazioni sono sicuramente dimenticabili, ma l’impatto scenografico della montagna che sovrasta la costruzione merita un ricordo importante. Prima di lasciare Tebe Ovest passiamo attraverso i Colossi di Memnone, giganti statue che un tempo sembravano cantare, un effetto del vento che passava attraverso le fessure tra le pietre. Ultima tappa è il tempio di Karnak. Maestoso con la sua foresta di colonne alte a forma di papiro, regale e grandioso con la teoria di sfingi con la testa da ariete (il tempio è dedicato ad Amon), quello di Karnak è considerato, a ragione, uno dei templi più belli di tutto l’Egitto. Noi ci andiamo al tramonto, quando il sole colora tutto di rosa, e solo gli alti obelischi riescono a raccogliere i raggi del disco rosso ormai troppo basso. E il sole tramonta. Con Amon Ra divenuto If Ra, l’ariete, viaggia nel mondo dell’Am Duat, accompagnando le anime dei defunti verso la bilancia della giustizia, verso la vita eterna.

Come nel mio racconto.

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