
Pensavo fosse diversa. Più povera, ancora attaccata al passato comunista. E invece le sue radici sono più antiche, sprofondano negli imperi di cui è stata capitale, facendo brillare di ricchezza ogni sua pietra.
Luglio 2008. Praga in questi giorni ha avuto il cielo sempre coperto, con il sole freddo che faceva capolino tra gli sbuffi di nuvole, sfidando la pioggia estiva. Temperature primaverili, scaldate dalla birra gelata e dal grasso del maiale cucinato in tutti i modi.
Giri, svolti, sali, scendi e comunque finisci sempre alla Piazza della Citta Vecchia. Qui c’è il punto di incontro di turisti e praghesi, ambulanti e commercianti, spendaccioni e routard. Tutti ad aspettare con il naso in su lo scoccare delle ore all’orologio astronomico nella piazza, dove dodici apostoli (11 + 1) scivolano mostrandosi al pubblico curioso.
Dal centro attraversiamo il Ponte Carlo, che sembra Piazza Navona o Covent Garden, ricolma di bancarelle e ritrattisti. Per fortuna che ci sono le statue enormi e severie a ricordarci la città in cui siamo. Oltre il ponte su al Castello, tra pietre centenarie. E da lì giù fino a Mala Strana.
Il piccolo quartiere, un gioiellino di tegole e acciottolato, con il famoso murales per la Pace creato dopo la morte di John Lennon, ridisegnato da scritte e disegni ogni giorno. E da Mala Strana attraverso un ponte fino all’isoletta di Kampa e poi al Ghetto: entriamo nel vecchio cimitero ebraico dove ci sediamo su una panchina e Mariachiara mi legge una vecchia leggenda. Si parla di Golem, si parla di morte e di vita. Attorno a noi: lapidi con nomi scoloriti, scritte quasi invisibili, terreni sconnessi, pietre rotte. Fa capolino il sole che filtra dalle foglie degli alti alberi. I troppi turisti non permettono di godersi l’atmosfera.
Solo una lumaca che striscia su una tomba sembra aver capito il tempo lento che muove questo posto immobile che i nazisti hanno salvato per farne un museo della razza estinta.
Poco più in là saluto Kafka. Accarezzo il suo piede e saluto Praga. Città d’Oro e di Morte. Forse troppo attaccata al passato per guardare al futuro, troppo preziosa per cambiare, troppo calma per guizzare. E per questo così affascinante.
Posted on 30 giugno 2011
0