Il monumento all’Amore Eterno

Posted on 8 giugno 2012

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Ad Agra si va per visitare il Taj Mahal, ma nel mio giro decido di tenermelo alla fine, come si dice: il dolce in fondo . Ecco allora prima i templi più piccoli, quelli lontano dal centro, alcuni che nemmeno sono segnati sulla guida, a portarmici è un guidatore di autorikshaw che starà con me tutto il giorno. Dopo un po’ di monumenti tutti uguali gli chiedo di farmi vedere qualcosa di diverso dalle architetture e dalle tombe e lui guida fino dall’altra parte del fiume, dove c’è il quartiere delle lavandaie. Qui è portata la biancheria di tutti gli alberghi e le ceste che raccolgono i vestiti da lavare nei negozi in giro per la città. Gli indumenti sono ammucchiati sulla spiaggia e lavati, a secondo del colore, in enormi bidoni di ferro pieni di sostanze chimiche pulenti. Dopo di che i sari colorati e il resto sono sciacquati nel fiume e stesi ad asciugare (per quanto riguarda la biancheria), appoggiati sulla sabbia (per quanto riguarda i delicatissimi sari di seta).  Il contrasto tra la povertà del luogo e la ricchezza dei tessuti e dei profumi è davvero uno spettacolo coloratissimo e interessante.

Da lì ci spostiamo in una zona agricola, non lontano dal Taj Mahal. Qui una vecchia signora vive in una capanna sul fiume, ha pochissimo per vivere, quasi niente, ma accanto a casa sua ha due idoli a proteggerla e un pozzo moghul ormai pieno di fango, e da lontano vede il Taj, una vista da hotel cinque stelle. Da qui ci avviciniamo alla parte dietro del Taj, dalla parte del fiume: i bufali pascolano indisturbati, curati da giovanissime ragazze in sari colorati. Attorno a me non c’è nessun altro, solo gli animali e l’enorme monumento che incombe. Si respira aria di pace e d’amore.

Nel pomeriggio visito anche il Forte Rosso, il Red Fort, mi perdo per un paio d’ore tra gli edifici e immagino la vita che c’era qui 450 anni fa, quando il sovrano fu spodestato dal figlio e imprigionato nella parte alta del palazzo dove, unico desiderio del monarca vicino alla morte, poteva vedere il monumento funebre dedicato alla moglie, il Taj Mahal.

Ed eccolo finalmente questo benedetto Taj Mahal. In città non si parla d’altro, dai venditori ambulanti alle guide improvvisate. Scenograficamente nascosto dietro un’alta porta rossa, si staglia in tutta la sua bellezza da Meraviglia del Mondo di fronte agli occhi dei visitatori, per la maggior parte indiani. Scattano foto di famiglia con fotografi professionisti, chiamano gli amici e dicono loro di essere al Taj, chiedono agli occidentali di posare con loro nei loro scatti, per dimostrare di aver visto in un colpo solo due cose eccezionali ad Agra. Il marmo sembra pizzo e i colori sono delicati come quelli di una torta nuziale. E’ un monumento all’amore e l’amore si legge in ogni dettaglio. Una coppia di giovani ragazzi indiani si tiene per mano. Si scattano una foto. Vorrebbero baciarsi forse ma sanno che non è opportuno. Ci sarà tempo più tardi, nel vicolo buio e stretto dietro all’uscita, senza che nessuno veda (per pudore, per tradizione, per paura). Rimango al Taj Mahal fino al tramonto, velato dalle nuvole e da una pioggia sottile e fredda. Come freddo è il marmo della tomba su cui si cammina a piedi nudi. Penso al mio amore che è rimasto in Italia e le mie riflessioni qui dentro le dedico a lei.

Il monumento più famoso dell’India, nazione dove i cadaveri vengono cremati, è una tomba, una tomba all’amore. Curiosa contraddizione del paese delle contraddizioni.

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